In tema di successione ereditaria coesistono due tipologie di norme.
Quelle contenute nel codice civile e quelle contenute nel D.lgs. 31.10.1990 n. 346 (Testo Unico dell’imposta sulle successioni e donazioni).
A norma dell’art. 480 Cod. Civ. il chiamato all’eredità ha 10 anni di tempo per decidere se accettare o meno l’eredità.
Detto termine è stato previsto a tutela del chiamato all’eredità. Infatti, il chiamato, che decida di accettare l’eredità subentra in tutti i rapporti attivi e passivi facenti capo al defunto. Quindi subentra anche nei debiti.
E’ chiaro che in questo lungo lasso di tempo, si presuppone che il chiamato riesca a fare tutte le verifiche necessarie a definire con precisione la composizione dell’asse ereditario, in modo da prendere con coscienza la decisione di accettare o meno l’eredità.
Non tutti sanno che l’accettazione dell’eredità può avvenire in modo espresso o in modo tacito. Si verifica quest’ultimo caso, in tutte le situazioni nelle quali il chiamato compie un atto che presuppone, necessariamente, la sua volontà di accettare e che, non avrebbe diritto di fare, se non nella sua qualità di erede (art. 476 Cod. Civ.).
In questo contesto di norme, si innesta il Fisco Italiano. Un Fisco interessato a colpire il passaggio della ricchezza in capo agli eredi e legatari.
L’art. 1 del D.lgs. 31.10.1990 n. 346 così recita: ““L’imposta sulle successioni e donazioni si applica ai trasferimenti di beni e diritti per successione a causa di morte e ai trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi. Si considerano trasferimenti anche la costituzione di diritti reali di godimento, la rinunzia ai diritti reali o di credito e la costituzione di rendite o pensioni. ….l’imposta non si applica nei casi di donazione o liberalità di cui agli articoli 742 e 783 Cod. Civ….”.
Sono quindi assoggettati all’imposta i trasferimenti della ricchezza dal de cuius agli eredi e legatari.
A norma dell’art. 31 del D.lgs. 31.10.1990 n. 346, la dichiarazione di successione va presentata nel termine di 12 mesi dalla data del decesso.
Si pone allora il problema di stabilire se, la presentazione della dichiarazione di successione, possa essere considerata come atto di accettazione tacita dell’eredità.
E, dunque, comportare per il chiamato che l’abbia presentata prima di decidere se accettare o meno l’eredità, il rischio di dover rispondere degli eventuali debiti ereditari.
La dichiarazione di successione è un atto che ha una valenza esclusivamente fiscale, in quanto finalizzata a fornire al Fisco tutte le informazioni necessarie a calcolare e pagare le eventuali imposte previste sul patrimonio ereditario.
Da questa premessa discendono due conseguenze.
La prima è che, partendo da questo presupposto, la Cassazione ha stabilito con diverse sentenze (tra le tante si citano la sentenza n. 22017 del 2016 e la n. 8053 del 2017) che la presentazione della dichiarazione di successione non comporta accettazione tacita dell’eredità.
Quindi il fatto che venga presentata, non determina l’assunzione della qualità di erede in capo al soggetto firmatario e in capo agli altri successibili ivi indicati.
Dello stesso avviso sono anche alcune sentenze di merito.
La seconda è che non basta presentare la dichiarazione di successione per poter disporre degli immobili ereditari, come ad esempio venderli.
Il tutto, a meno che non si faccia un atto di accettazione espressa dell’eredità dopo aver presentato la dichiarazione di successione.
In questo scenario, si inseriscono tuttavia altre pronunce della Cassazione, che sembrerebbero vanificare la portata dell’orientamento di cui sopra.
Infatti, poiché nel caso in cui l’asse ereditario contenga anche dei beni immobili, oltre alla presentazione della dichiarazione di successione, occorre effettuare la voltura catastale è proprio questo adempimento ad essere stato considerato dalla Cassazione come espressione della volontà di accettare, seppur in modo tacito, l’eredità.
Nel nostro sistema esistono in fatti due tipi di annotazioni che devono essere obbligatoriamente effettuate quando la proprietà dei beni immobili passa da un soggetto ad un altro.
La prima avviene presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari (oggi confluita nell’ Agenzia del Territorio).
La seconda avviene in Catasto.
Mentre l’annotazione del nome del nuovo proprietario di un immobile effettuata presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari ha valore probatorio, quindi fa prova del nuovo proprietario dell’immobile, e in caso di successione ereditaria, viene effettuata in automatico dai pubblici funzionari a seguito della presentazione della dichiarazione di successione, il Catasto ha una funzione diversa.
Il Catasto non ha funzione probatoria, ossia non garantisce che il soggetto intestatario dei beni che compare nella visura catastale sia effettivamente il proprietario o il titolare di altro diritto reale, di quel determinato immobile.
La funzione del Catasto è duplice:
Ebbene, prima dell’entrata in vigore della normativa che ha disposto l’obbligo della presentazione della dichiarazione di successione telematica, la dichiarazione di successione veniva presentata all’Agenzia delle Entrate, la quale provvedeva in automatico a comunicare l’intervenuto passaggio di proprietà in capo agli eredi presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari e, successivamente il soggetto che la presentava (coincidente con il chiamato all’eredità) firmava la dichiarazione di voltura catastale.
In questo modo veniva comunicato al catasto il nominativo del nuovo proprietario dei beni immobili che si erano ereditati.
E’ proprio questo adempimento che secondo la Corte di Cassazione costituisce accettazione tacita dell’eredità.
Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione, mentre sono inidonei a configurare accettazione tacita dell’eredità gli atti di natura meramente fiscale, come la dichiarazione di successione o il pagamento dei tributi che riguardano la proprietà dei beni immobili ereditati, l’accettazione tacita può essere desunta dal compimento di atti che abbiano al contempo una funzione civile e fiscale, come ad esempio la voltura catastale delle unità immobiliari cadute in successione.
E’ quanto affermato e riconfermato anche in una recente ordinanza della Cassazione la numero 1438 del 2020.
Per cui se la presentazione della dichiarazione di successione non determina l’assunzione della qualità di erede in capo al firmatario, la firma della voltura catastale sì.
Davanti a questo scenario, viene da chiedersi come fare per tutelarsi da eventuali debiti ereditari senza incorrere nelle sanzioni previste in caso di ritardata presentazione, all’Agenzia delle Entrate della dichiarazione di successione.
Ora, con il nuovo modello di dichiarazione di successione strutturato in modo da consentire la volturazione automatica delle unità immobiliari ereditate al Catasto a seguito della sola presentazione del modello all’Agenzia delle Entrate il problema potrebbe complicarsi.
Ciò in quanto:
E questo potrebbe portare alla facile conclusione che il soggetto che abbia firmato la dichiarazione di successione, ma non abbia richiesto di evitare di dar corso alla voltura catastale possa essere considerato erede, in quanto accettante in modo tacito.
Per ovviare a questo problema una soluzione di ordine pratico potrebbe essere la seguente:
E’ chiaro che in questo modo si pone il problema di dover subire le eventuali sanzioni a causa di una ritardata presentazione della voltura catastale, ma queste sono sicuramente inferiori rispetto a quelle che si pagherebbero in caso di omessa presentazione della dichiarazione nel termine di 1 anno dalla data della morte.
In questo contesto c’è però una buona notizia. La buona notizia è che questo modo di operare, non è l’unico sistema che permette al chiamato all’eredità di salvare contemporaneamente le due esigenze, ossia quella di presentare nei termini la dichiarazione di successione e al contempo proteggere il proprio patrimonio personale da eventuali debiti ereditati.
Avv. Federica Novaga