L’Effetto dell’Emergenza COVID -19 sui Contratti in Corso di Esecuzione

in questi giorni di incertezza collegata non solo alla grave crisi sanitaria, ma anche al susseguirsi di norme di carattere generale con cui il Governo sta disciplinando anche gli aspetti economici del Paese, molti di Voi mi hanno chiesto, preoccupati, quali potessero essere le conseguenze di contratti non eseguiti, di commesse non consegnate, o solo parzialmente consegnate ai clienti, a causa della chiusura imposta alle imprese dal DPCM 22.03.2020.

Ritenendo di fare cosa gradita, ho quindi redatto questa breve informativa, allo scopo di fornire risposta al quesito.

Un quesito che, al di là degli aspetti commerciali, investe ovviamente anche quelli economici, laddove ad esempio i clienti coinvolti ritengano di aver subito un danno a causa della mancata esecuzione o della parziale esecuzione di un contratto ad opera del fornitore, magari obbligato a chiudere l’attività in quanto titolare di un codice ATECO che non rientra tra quelli autorizzati a proseguire nell’attività produttiva dal DPCM 22.03.2020.

In materia contrattuale, le norme generali previste dal Codice Civile, prevedono che mentre il creditore (il cliente per intenderci) in caso di inadempimento del debitore (il fornitore per capirci) deve solo dimostrare l’inadempimento del proprio fornitore alla realizzazione di un’attività, di un’opera, di una consegna di merci ecc. nel tempo e nel luogo e secondo le modalità concordate, onde richiedere l’eventuale risoluzione del contratto e il risarcimento del danno subito, il debitore (il fornitore cioè) per liberarsi da questa responsabilità, deve dimostrare che l’inadempimento – appunto – è derivato da causa a sé non imputabile.

Ora, è proprio sulla base di questo principio che si riesce a dare risposta al quesito di cui sopra.

Infatti, all’interno del concetto di “causa a sé non imputabile” che il fornitore può invocare onde non essere tenuto a risarcire il danno derivante dalla mancata o incompleta o inesatta esecuzione della prestazione contrattualmente dovuta, sono ricomprese due ipotesi:

a)       il caso fortuito

b)      la forza maggiore.

Gli interpreti del diritto, da sempre identificano il “caso fortuito” con tutte le situazioni comunemente definite fatalità. Come ad esempio terremoti, tempeste, valanghe ecc..

La forza maggiore, invece, viene identificata come una forza che promana dalla natura o dall’uomo che impedisce lo svolgimento della prestazione.

All’interno della cosiddetta forza umana, è a sua volta ricompreso il cosiddetto “factum principis” cioè una o più norme giuridiche che emanate dall’Autorità, impediscono al fornitore di eseguire correttamente quanto concordato con i propri clienti.

E’ il caso che stiamo vivendo.

Infatti i  DPCM che, a partire dall’8 marzo 2020 si sono susseguiti e che hanno visto ridurre sempre di più la libera operatività delle imprese, possono - a mio modo di vedere - essere tranquillamente identificati con l’appellativo di “causa di forza maggiore” che ha impedito ed impedisce tutt’ora a molte aziende di operare con regolarità e dunque, adempiere secondo i tempi concordati ai contratti in essere.

Dunque, possono essere invocati da ogni fornitore che riceva dal proprio cliente contestazioni o, peggio ancora, richieste di risarcimento del danno derivanti dalla mancata o incompleta esecuzione della prestazione dovuta.

Sempre nella categoria della “forza maggiore” può essere ricompresa, la circostanza (non infrequente) collegata al fatto che la catena della fornitura (si pensi ad esempio a particolari meccanici da montare o più semplicemente materie prime da lavorare per produrre i prodotti richiesti) si sia interrotta, perché – come stiamo assistendo – molti sub fornitori di aziende attualmente aperte, sono chiusi e dunque, certi pezzi o elementi necessari alla produzione, non risultano reperibili sul mercato.

Fatta questa premessa, occorre evidenziare che l’art. 1256  Cod. Civ. (norma di carattere generale applicabile ai contratti) stabilisce che “L’obbligazione si estingue, quando per un a causa non imputabile al debitore la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea il debitore, finchè essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’inadempimento. Tuttavia, l’obbligazione si estingue se l’impossibilita, perdura, fino a quando in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può essere più ritenuto obbligato a eseguire l’obbligazione, ovvero il creditore non ha più interesse a riceverla”

Invece l’art. 1258 Cod. Civ. stabilisce che “se l’obbligazione è divenuta impossibile solo in parte, il debitore si libera dall’obbligazione per la parte che è rimasta possibile”.

Nel primo caso, cioè laddove la prestazione non possa in alcun modo essere eseguita dal fornitore, per causa a lui non imputabile, il rapporto contrattuale si estingue.

Ciò comporta l’esonero del debitore a dover eseguire in futuro l’obbligazione, soprattutto là dove il creditore non abbia più interesse ad una obbligazione tardivamente eseguita. E comporta anche il fatto di potersi “difendere” da una eventuale richiesta danni, richiamando appunto gli atti di provenienza governativa attualmente in essere.

Nel secondo caso, se l’obbligazione può essere anche solo parzialmente eseguita, è dovere del fornitore dare esecuzione a quella parte del contratto che può essere adempiuta.

Penso ad esempio a fornire anche solo una parte della merce ordinata dal cliente, o eseguire una parte dei servizi richiesti e così via.

Il tutto, a meno che, il cliente non dichiari espressamente di non aver più interesse a ricevere l’esecuzione della prestazione anche parziale.

Per quanto riguarda, infine, l’ipotesi di contratti che prevedano una penale per il ritardo nell’adempimento, faccio presente che la giurisprudenza sia di legittimità che di merito (Cass. CIv. Sez. III, 20.12.2012 n. 23621; Trib. Nocera Inferiore Sez. III, 10.06.2013) è concorde nel ritenere che la “pattuizione di una penale, non si sottrae alla disciplina generale delle obbligazioni. Per cui deve escludersi la responsabilità del debitore allorchè quest’ultimo dimostri che l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione cui accede la clausola penale, sia determinata dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”

Pertanto, anche nell’ipotesi in cui si sia titolari di contratti che prevedono in capo al fornitore, delle penali per il ritardo nell’adempimento o per il mancato o parziale adempimento, si potrà comunque invocare – onde evitare di dover pagare la penale – la causa di forza maggiore, identificata nel dovere di astenersi dall’attività lavorativa così come previsto dalla recente normazione governativa.

Concludendo, posto che a giudizio della sottoscritta, l’emergenza epidemiologica COVID – 19 e i correlati provvedimenti normativi (DPCM 8.3.2020 – D.L. 17.3.2020 n. 18 – DPCM  22.3.2020) presentano i caratteri dell’imprevedibilità e straordinarietà oltre che della cogenza,  ritengo applicabile ai contratti in essere non eseguiti, o non completamente eseguiti i rimedi di cui sopra.

Conseguentemente, consiglio a chiunque si trovi in queste condizioni, di inviare una comunicazione preventiva a tutti i Vostri clienti onde spiegare le ragioni dell’impossibilità di eseguire le prestazioni precedentemente concordate chiedendo eventualmente se il cliente sia disponibile a ricevere l’esecuzione della prestazione in futuro e anche parzialmente.