Come faccio a tutelarmi nell'ipotesi di debiti ereditari e nel caso in cui non voglia rinunciare all'eredità?

Spesso mi capita nel corso della mia attività professionale di incontrare o assistere persone che si rivolgono al mio studio, onde ricevere assistenza in caso di successione ereditaria.

Tuttavia, capita che le persone in perfetta buonafede e spesso, inconsapevolmente, nel periodo intercorrente tra l’apertura dell’eredità e la data in cui si rivolgono a me come professionista, abbiano già compiuto atti di accettazione tacita dell’eredità.

Un classico esempio di questi atti è la vendita dell’auto appartenente al defunto. Vendita dell’auto che presuppone prima l’intestazione dell’auto al PRA in capo ai chiamati e il successivo passaggio di proprietà al nuovo proprietario. Questo atto, dicevo, rappresenta un classico esempio perché l’auto non deve essere indicata nella dichiarazione di successione e, conseguentemente, capita che le persone valutino la vendita come una operazione “neutra” dal punto di vista successorio, quando così non è.

In tali casi, se l’asse ereditario è gravato da debiti, può risultare molto più difficile laddove i clienti abbiano già compiuto atti di accettazione tacita, evitare che il loro patrimonio personale, possa essere aggredito dai creditori del defunto, laddove l’attivo ereditario non sia sufficiente a coprire eventuali passività.

In tali casi esistono altri rimedi esperibili, che tuttavia possono presentare delle criticità da valutare molto attentamente, in relazione alla singola posizione.

Tuttavia, laddove il chiamato all’eredità:

a) non abbia effettuato alcun atto di accettazione espressa o tacita e non intenda rinunciare, perché ritiene che l’ammontare dell’attivo ereditario sia comunque superiore al passivo ereditario,

b) ma vuole evitare che il proprio patrimonio personale si confonda con quello del de cuius può accettare con beneficio di inventario.

Innanzitutto occorre ricordare che l’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario presuppone l’atto pubblico, pertanto essa può essere fatta o davanti ad un notaio o davanti al Cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione.

La forma dell’atto pubblico è requisito di validità dell’accettazione beneficiata, sicchè la stessa se  effettuata con scrittura privata autenticata è nulla.

L’art. 484 Cod. Civ. prevede un duplice ordine di adempimenti, dettati al fine di dare pubblicità all’accettazione beneficiata.

Essa va inserita nel registro delle successioni e trascritta presso l’Ufficio del Registro (oggi Agenzia delle Entrate) del luogo di apertura della successione.

Effettuata l’iscrizione nel registro delle successioni l’accettazione beneficiata – sempre in applicazione dell’art. 484 Cod. Civ. – deve essere trascritta presso l’Ufficio dei Registri Immobiliari (oggi Agenzia delle Entrate – Sezione Territorio). E ciò, anche laddove nel patrimonio ereditario non vi siano beni immobili.

Queste iscrizioni hanno una funzione di pubblicità legale, in modo che tutti possano venire a conoscenza del fatto che un determinato erede abbia deciso di accettare l’eredità con beneficio di inventario.

La funzione dell'accettazione dell'eredità con beneficio di inventario che presuppone due operazioni (accettazione espressa dell'eredità + redazione dell'inventario) è quella di tenere tenere separato il patrimonio del defunto (in quanto magari gravato da debiti) dal patrimonio dell’erede.

La possibilità di accettazione dell’eredità con beneficio di inventario è consigliabile ogni qualvolta gli eredi sono a conoscenza dell’esistenza di debiti ereditari, ma anche laddove (ad esempio nel caso di un defunto che all’interno della famiglia non abbia condiviso i propri problemi finanziari) gli eredi risultino all’oscuro della reale situazione economico-finanziaria del defunto.

Infatti, poichè in caso di accettazione tacita, i due patrimoni si confondono e potrebbe accadere che laddove il patrimonio ereditario non sia sufficiente a “coprire” i debiti ereditari, i creditori del de cuius possano aggredire il patrimonio del singolo erede, è chiaro che accettando l’eredità con beneficio di inventario l’erede potrebbe preservare il proprio patrimonio.

Altro elemento da sapere è che, laddove si opti per tale soluzione è necessario, per evitare di decadere da questa importante forma di protezione, chiedere ed ottenere sempre l’autorizzazione del Tribunale territorialmente competente, per effettuare atti di vendita di beni che rappresentino la posta attiva del patrimonio del defunto.

Avv. Federica Novaga

Se presento la dichiarazione di successione nei termini per evitare sanzioni, ma non ho ancora deciso se accettare l'eredità, cosa succede? Come posso tutelarmi in caso di debiti ereditari?

In tema di successione ereditaria coesistono due tipologie di norme.

Quelle contenute nel codice civile e quelle contenute nel D.lgs. 31.10.1990 n. 346 (Testo Unico dell’imposta sulle successioni e donazioni).

A norma dell’art. 480 Cod. Civ. il chiamato all’eredità ha 10 anni di tempo per decidere se accettare o meno l’eredità.

Detto termine è stato previsto a tutela del chiamato all’eredità. Infatti, il chiamato, che decida di accettare l’eredità subentra in tutti i rapporti attivi e passivi facenti capo al defunto. Quindi subentra anche nei debiti.

E’ chiaro che in questo lungo lasso di tempo, si presuppone che il chiamato riesca a fare tutte le verifiche necessarie a definire con precisione la composizione dell’asse ereditario, in modo da prendere con coscienza la decisione di accettare o meno l’eredità.

Non tutti sanno che l’accettazione dell’eredità può avvenire in modo espresso o in modo tacito. Si verifica quest’ultimo caso, in tutte le situazioni nelle quali il chiamato compie un atto che presuppone, necessariamente, la sua volontà di accettare e che, non avrebbe diritto di fare, se non  nella sua qualità di erede (art. 476 Cod. Civ.).

In questo contesto di norme, si innesta il Fisco Italiano. Un Fisco interessato a colpire il passaggio della ricchezza in capo agli eredi e legatari.

L’art. 1  del D.lgs. 31.10.1990 n. 346 così recita: ““L’imposta sulle successioni e donazioni si applica ai trasferimenti di beni e diritti per successione a causa di morte e ai trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi. Si considerano trasferimenti anche la costituzione di diritti reali di godimento, la rinunzia ai diritti reali o di credito e la costituzione di rendite o pensioni. ….l’imposta non si applica nei casi di donazione o liberalità di cui agli articoli 742 e 783 Cod. Civ….”.

Sono quindi assoggettati all’imposta i trasferimenti della ricchezza dal de cuius agli eredi e legatari.

A norma dell’art. 31 del D.lgs. 31.10.1990 n. 346, la dichiarazione di successione va presentata nel termine di 12 mesi dalla data del decesso.

Si pone allora il problema di stabilire se, la presentazione della dichiarazione di successione, possa essere considerata come atto di accettazione tacita dell’eredità.

E, dunque, comportare per il chiamato che l’abbia presentata prima di decidere se accettare o meno l’eredità, il rischio di dover rispondere degli eventuali debiti ereditari.

La dichiarazione di successione è un atto che ha una valenza esclusivamente fiscale, in quanto finalizzata a fornire al Fisco tutte le informazioni necessarie a calcolare e pagare le eventuali imposte previste sul patrimonio ereditario.

Da questa premessa discendono due conseguenze.

La prima è che, partendo da questo presupposto, la Cassazione ha stabilito con diverse sentenze (tra le tante si citano la sentenza n. 22017 del 2016 e la n. 8053 del 2017) che la presentazione della dichiarazione di successione non comporta accettazione tacita dell’eredità.

Quindi il fatto che venga presentata, non determina l’assunzione della qualità di erede in capo al soggetto firmatario e in capo agli altri successibili ivi indicati.

Dello stesso avviso sono anche alcune sentenze di merito.

La seconda è che non basta presentare la dichiarazione di successione per poter disporre degli immobili ereditari, come ad esempio venderli.

Il tutto, a meno che non si faccia un atto di accettazione espressa dell’eredità dopo aver presentato la dichiarazione di successione.

In questo scenario, si inseriscono tuttavia altre pronunce della Cassazione, che sembrerebbero vanificare la portata dell’orientamento di cui sopra.

Infatti, poiché nel caso in cui l’asse ereditario contenga anche dei beni immobili, oltre alla presentazione della dichiarazione di successione, occorre effettuare la voltura catastale è proprio questo adempimento ad essere stato considerato dalla Cassazione come espressione della volontà di accettare, seppur in modo tacito, l’eredità.

Nel nostro sistema esistono in fatti due tipi di annotazioni che devono essere obbligatoriamente effettuate quando la proprietà dei beni immobili passa da un soggetto ad un altro.

La prima avviene presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari (oggi confluita nell’ Agenzia del Territorio).

La seconda avviene in Catasto.

Mentre l’annotazione del nome del nuovo proprietario di un immobile effettuata presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari ha valore probatorio, quindi fa prova del nuovo proprietario dell’immobile, e in caso di successione ereditaria, viene effettuata in automatico dai pubblici funzionari a seguito della presentazione della dichiarazione di successione, il Catasto ha una funzione diversa.

Il Catasto non ha funzione probatoria, ossia non garantisce che il soggetto intestatario dei beni che compare nella visura catastale sia effettivamente il proprietario o il titolare di altro diritto reale, di quel determinato immobile.

La funzione del Catasto è duplice:

Ebbene, prima dell’entrata in vigore della normativa che ha disposto l’obbligo della presentazione della dichiarazione di successione telematica, la dichiarazione di successione veniva presentata all’Agenzia delle Entrate, la quale provvedeva in automatico a comunicare l’intervenuto passaggio di proprietà in capo agli eredi presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari e, successivamente il soggetto che la presentava (coincidente con il chiamato all’eredità) firmava la dichiarazione di voltura catastale.

In questo modo veniva comunicato al catasto il nominativo del nuovo proprietario dei beni immobili che si erano ereditati.

E’ proprio questo adempimento che secondo la Corte di Cassazione costituisce accettazione tacita dell’eredità.

Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione, mentre sono inidonei a configurare accettazione tacita dell’eredità gli atti di natura meramente fiscale, come la dichiarazione di successione o il pagamento dei tributi che riguardano la proprietà dei beni immobili ereditati, l’accettazione tacita può essere desunta dal compimento di atti che abbiano al contempo una funzione civile e fiscale, come ad esempio la voltura catastale delle unità immobiliari cadute in successione.

E’ quanto affermato e riconfermato anche in una recente ordinanza della Cassazione la numero 1438 del 2020.

Per cui se la presentazione della dichiarazione di successione non determina l’assunzione della qualità di erede in capo al firmatario, la firma della voltura catastale sì.

Davanti a questo scenario, viene da chiedersi come fare per tutelarsi da eventuali debiti ereditari senza incorrere nelle sanzioni previste in caso di ritardata presentazione, all’Agenzia delle Entrate della dichiarazione di successione.

Ora, con il nuovo modello di dichiarazione di successione strutturato in modo da consentire la volturazione automatica delle unità immobiliari ereditate al Catasto a seguito della sola presentazione del modello all’Agenzia delle Entrate il problema potrebbe complicarsi.

Ciò in quanto:

  1. nel nuovo modello non è possibile qualificare il soggetto firmatario con l’appellativo di chiamato all’eredità, essendo presente la qualifica ambigua di “erede/chiamato all’eredità”;
  2. nel nuovo modello se non si barra la richiesta di non voler dar corso alle volture catastali, la voltura avviene in automatico.

E questo potrebbe portare alla facile conclusione che il soggetto che abbia firmato la dichiarazione di successione, ma non abbia richiesto di evitare di dar corso alla voltura catastale possa essere considerato erede, in quanto accettante in modo tacito.

Per ovviare a questo problema una soluzione di ordine pratico potrebbe essere la seguente:

  1. presentare comunque la dichiarazione di successione;
  2. barrare la casella nella quale si esclude di voler dar corso automaticamente alla voltura catastale delle unità immobiliari ereditate.

E’ chiaro che in questo modo si pone il problema di dover subire le eventuali sanzioni a causa di una ritardata presentazione della voltura catastale, ma queste sono sicuramente inferiori rispetto a quelle che si pagherebbero in caso di omessa presentazione della dichiarazione nel termine di 1 anno dalla data della morte.

In questo contesto c’è però una buona notizia. La buona notizia è che questo modo di operare, non è l’unico sistema che permette al chiamato all’eredità di salvare contemporaneamente le due esigenze, ossia quella di presentare nei termini la dichiarazione di successione e al contempo proteggere il proprio patrimonio personale da eventuali debiti ereditati.

Avv. Federica Novaga   

Successioni Ereditarie: 10 Cose da Sapere per Non Avere Brutte Sorprese

Nel nostro sistema giuridico vige il principio della certezza delle situazioni giuridiche.

In forza di detto principio alla morte di una persona alcuni contratti e rapporti si estinguono, come ad esempio il contratto di lavoro, il contratto di mandato, il rapporto che lega un socio alla società ecc., mentre altri rapporti proseguono in capo agli eredi. Si pensi ad esempio al diritto di proprietà sugli immobili che si trasmette ai successori del defunto.

Quando si parla di eredità, spesso le persone associano il concetto esclusivamente all’aumento della propria ricchezza, per effetto della successione nei rapporti attivi che il defunto intratteneva con banche, società finanziarie per effetto di rapporti di conto corrente, depositi, investimenti ecc.

Tuttavia, anche gli eventuali debiti del defunto si trasmettono agli eredi.

Parlare di eredità, impone di comprendere nel concetto tanto le poste attive, quanto quelle passive che facevano capo al de cuius (la persona deceduta).

Non sono rari i casi di imprenditori singoli che, alla propria morte, lascano i propri familiari completamente all’oscuro di quelli che sono i propri affari e anche dell’eventuale esposizione debitoria o addirittura dell’assunzione di garanzie personali (fideiussioni) in favore di banche o altri istituti di credito.

Ciò espone i potenziali eredi al rischio di dover rispondere col proprio patrimonio di eventuali debiti ereditari. Il tutto magari essendo del tutto ignari del loro reale ammontare.

Diventa allora fondamentale sapersi “muovere” correttamente nel complesso ed articolato mondo delle successioni ereditarie, in modo da non trovarsi in situazioni spiacevoli.

Guardando l’aspetto ereditario dal punto di vista del de cuius (il defunto) nell’ottica di una pianificazione successoria, diventa inoltre fondamentale conoscere le norme che regolano la cosiddetta “successione necessaria”.

Si tratta di quell’insieme di regole dettate a protezione dei familiari più stretti: i cosiddetti legittimari (cioè coloro che hanno diritto alla quota di legittima) ai quali la legge riserva, comunque, una porzione del patrimonio del defunto.

E ciò, indipendentemente, dalla volontà del defunto.

Si tratta di norme che in linea di principio limitano in capo al soggetto la facoltà di disposizione del proprio patrimonio sia mediante atti di donazione, sia mediante testamento.

Anche da questo punto di vista diventa importante conoscere “le regole del gioco” per evitare che ciò che in vita si era pensato di fare, disponendo del proprio patrimonio mediante atti di donazione o mediante testamento, determini l’insorgenza di conflitti e controversie giudiziali tra i successibili, il cui esito potrebbe vanificare quella che era la volontà del defunto.

Vediamo allora quali sono le cose fondamentali da sapere.

La prima cosa da sapere è costituita dal fatto che la successione si apre al momento della morte nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto.

La data di morte definisce:

  1. il momento nel quale il patrimonio del defunto (c/c, titoli, investimenti, case, gioielli, mobili, contratti, debiti crediti ecc.) perde il suo titolare;
  2. il momento in forza del quale retroagiscono in capo agli eredi, gli effetti della scelta legata all’accettazione dell’eredità;
  3. il momento dal quale comincia a decorrere ai fini civilistici il termine per i chiamati all’eredità di accettare o rifiutare la stessa;
  4. il momento dal quale comincia a decorrere ai fini fiscali, il termine per la presentazione della dichiarazione di successione

La seconda cosa da sapere è che la morte di una persona non determina l’immeditata trasmissione del suo patrimonio ai chiamati all’eredità. Coloro che sono chiamati a succedere al defunto, hanno infatti a norma dell’art. 480 Cod. Civ. 10 anni di tempo per decidere se accettare o non accettare l’eredità.

Il termine previsto dal Codice Civile per decidere se accettare o non accettare l’eredità, non coincide però con il termine previsto dalla normativa fiscale per presentare la dichiarazione di successione.

Il che genera, spesso nelle persone, una situazione di confusione e disorientamento soprattutto, nel caso in cui il patrimonio ereditario sia costituito da poste attive e da poste passive, appunto trasmissibili agli eredi.

Infatti, il DLGS 31.10.1990 n. 346 – Testo Unico dell’imposta sulle successioni e donazioni – prevede che il termine per la presentazione della dichiarazione di successione, sia di 1 anno dalla morte della persona. Chi presenta la dichiarazione di successione oltre il termine di 1 anno dalla morte della persona, si espone al pagamento di sanzioni ed interessi.

La terza cosa da sapere è che il patrimonio ereditario può essere trasmesso in due distinti modi: per legge o per testamento.

La successione ereditaria è quindi essenzialmente di due tipi:

  1. successione legittima, disciplinata dagli artt. 565 e ss. del cod. civ., che opera quando:
    1. il defunto muore senza aver fatto testamento;
    2. il defunto, pur avendo fatto testamento, non aveva disposto nel testamento di tutto il suo patrimonio. Si pensi al caso di Tizio che muore lasciando un patrimonio di 100. Avendo fatto un testamento in vita con cui disponeva solo per 60, il restante 40 del suo patrimonio sarà diviso applicando le regole della successione legittima;
    3. il defunto aveva fatto in vita un testamento, ma in questo aveva trascurato (o come si dice in gergo, pretermesso), determinati soggetti ai quali la legge riconosce comunque il diritto di succedergli, in una determinata quota dell’eredità (sono i cosiddetti eredi legittimari, titolari della quota di legittima);
    4. il defunto pur essendo morto senza testamento, aveva donato in vita i suoi beni in misura tale da ledere il diritto degli eredi legittimari;
  2. successione testamentaria, quando è regolata dal testamento e nel testamento il de cuius aveva disposto correttamente del suo patrimonio senza ledere i diritti dei legittimari.

La quarta cosa da sapere è che i soggetti definiti con l’appellativo “successibili” non subentrano automaticamente nei rapporti attivi e passivi del defunto, ma possono e devono decidere se accettare o meno l’eredità.

La quinta cosa da sapere è che c’è una sostanziale differenza tra il concetto di erede e di legatario.

L’erede è colui che subentra al defunto in tutti i rapporti che questo aveva in essere alla data della morte. Pertanto subentra sia nei rapporti attivi che in quelli passivi. Ciò perché l’erede è colui che succede all’universalità dei beni che componevano il patrimonio del defunto. Quindi succede anche nei debiti.

Il legatario è invece un soggetto al quale viene devoluto un bene determinato o una determinata somma di denaro o comunque una porzione del patrimonio ereditario e non risponde dei debiti ereditari (art. 756 Cod. Civ.).

La sesta cosa da sapere è rappresentata dal fatto che, mentre l’accettazione dell’eredità è un atto necessario per l’acquisto della qualità di erede, e dunque per subentrare al defunto in tutti i rapporti ad esso facenti capo, il legato si acquista senza bisogno di accettazione, salvo la facoltà di rinunciarlo.

La settima cosa da sapere è che l’eredità può essere accettata in modo espresso o in modo tacito.

L’accettazione espressa dell’eredità si fa per atto pubblico (avanti un notaio o avanti al Cancelliere del Tribunale del luogo in cui si è aperta la successione) o per scrittura privata. In entrambi i casi il soggetto dichiara di accettare l’eredità o assume il titolo di erede.

L’accettazione tacita dell’eredità si verifica ogni volta in cui il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare. Si tratta di un atto che il soggetto non avrebbe diritto di fare se non nella sua qualità di erede.

L’ottava cosa da sapere è collegata alla settima. Ovvero se è facile intuire che per scongiurare il pericolo di rispondere dei debiti ereditari il chiamato non debba compiere alcun atto di accettazione espressa, almeno fino a quando non abbia avuto l’esatta cognizione di ciò che compone il patrimonio ereditario, il problema si complica nel caso di accettazione tacita.

Infatti sono molto frequenti i casi in cui il soggetto compie di fatto delle operazioni che hanno una precisa rilevanza giuridica, trovandosi senza volerlo e, spesso, senza saperlo, nella condizione di essere erede senza aver reso alcuna dichiarazione espressa. Sono i cosiddetti atti di accettazione tacita dell’eredità, come ad esempio pagare i debiti dell’eredità, vendere alcuni beni che facevano parte del patrimonio del defunto ecc. ecc.).

La nona cosa da sapere è che l’eredità può essere rinunciata. Nel nostro panorama giuridico, l’erede ha 10 anni dalla data di apertura della successione, per decidere se accettare o rinunciare all’eredità.

Tuttavia la rinuncia ha valore solo “in blocco”. Nel senso che non è possibile rinunciare solo ad una parte dei beni ereditari (magari i debiti o beni che hanno poco valore) ed ereditarne altri.

Pertanto chi rinuncia lo fa in relazione ad uno status ossia, quello di erede, me non lo può fare con riferimento a uno o solo ad alcuni beni.

La decima cosa da sapere è costituita dal fatto che la rinuncia all’eredità, così come la morte di una persona prima dell’apertura della successione che la vedeva quale chiamato all’eredità (si pensi al caso del figlio che muore prima del genitore) determina il subentro dei suoi discendenti nella posizione di erede.

E’ il fenomeno della rappresentazione (art. 467 Cod. Civ.). In questo caso, com’è intuitivo non sempre a rinuncia all’eredità rappresenta il mezzo per liberarsi di eventuali debiti ereditari. Ciò in quanto il subentro del discendente, nella medesima posizione del chiamato pone al discendente i medesimi problemi che il rinunciante ha voluto evitare. Si pensi ad esempio al caso di un genitore (Tizio) che vuole rinunciare all’eredità del proprio padre (Caio) avendo un figlio (Sempronio). In questo esempio se Caio muore con dei debiti e Tizio rinuncia all’eredità di Caio, Sempronio subentrerà nella stessa posizione di Tizio trovandosi a dover decidere se accettare o meno. In tal modo opera il meccanismo della rappresentazione.

Alla luce di queste prime precisazioni, è chiaro che l’apertura di una successione ereditaria impone di affrontare la tematica con cautela e serenità, effettuando, prima di compiere qualsiasi azione e scelta, tutti gli approfondimenti in relazione alla composizione del patrimonio ereditario.

Nel prossimo articolo, approfondiremo “La prima cosa da sapere” e “La seconda cosa da sapere” soffermandoci sulla differenza del termine previsto ai fini civilistici per l’accettazione dell’eredità (10 anni) e quello fiscale (1 anno) per la presentazione della dichiarazione di successione.

Così facendo risponderemo al quesito: “Se presento la dichiarazione di successione nei termini per evitare sanzioni, ma non ho ancora deciso se accettare l’eredità cosa succede? Come posso tutelarmi in caso di debiti ereditari?”.